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Messaggio Da Admin Dom Gen 08, 2012 5:38 pm

Ritengo sia giusto che il Regno tutto sappia almeno una piccola parte di me.
Ciò che fui, lo trascrissi su di un Diario che via via divenne talmente lungo da apparire come un tomo.
Una porzione, o semplificazione di esso, od almeno di ciò che fu prima di giungere al Granducato, verrà riportata più sotto.


Ho sempre creduto ad una certa ineluttabilità degli avvenimenti.
Ho osservato, nel corso di questi miei brevi anni di vita, ciò che mi accadeva intorno, soppesando i pro ed i contro, prima di decidere se prendere parte ad essi o rimanere semplice spettatrice.
Mia premura, fu, comunque, di evitare che mi travolgessero del tutto.
Ora osservo da un punto di vista elevato ciò che sono diventata.
E vedo, con timore, quanto sono cambiata.
Anche adesso mi domando il motivo per cui stia scrivendo tutto questo. E la risposta la trovo alla vista di mio fratello Garpez ed alla sua amnesia: ho capito quanto mi atterrisca rimanere senza ricordo alcuno di ciò che mi ha fatta diventare quel che sono ora.

Già, Ricordi…

Sono quelli che mi legano a questa nuova esistenza, in questo nobile Granducato.
Ho fatto sì che ogni attimo fosse pregno di vita, quasi temendo che una risposta alle mie domande potesse apparirmi innanzi, in quei momenti che avrei lasciato vuoti di me.
Domande. Dubbi. E tutto che mi riconduce a quella notte, nella foresta di Elvellyn, ove mia madre mi diede alla Luce.
E di Luce posso ben parlare, poiché la Radura ove mossi i miei primi passi d´infante, fu quella ove mia madre, Bagnata dalle argentee dita della Luna Piena, Pregando Ella per Me, mi partorì cantando.
Non so se fu un Anatema o una Benedizione, l´esser nata alla luce della Luna Piena. L´unica cosa di cui sono veramente convinta è che esso ha un suo forte ed imponderato "contro".
Mentre la mia vita si svolgeva, tranquilla e silente, nell´ottica Nandor, il destino, Giullare dell´Esistenza, Eterno Burattinaio delle nostre Scelte, tesseva per me una Trama così fitta e fosca da risultare Oscura persino ai più grandi Indovini.
Così come la Luna Piena mi baciò la fronte nel momento in cui apersi gli occhi al Mondo, così la Luna Nuova mi gettò in un Baratro di Terrore.
Ogni medaglia ha il suo esatto contrario: lo scopersi fin da subito.
Incertezza e turbamento muovevano il mio incedere di fanciulla, ogni volta che l´Occhio Orbo lasciato dalla Luna, Campeggiava nella volta stellata.
In tali periodi di sconforto ed inquietudine, unico mio desiderio era quello di accoccolarmi su me stessa, in attesa che tutto tornasse alla normalità. Invece Dovetti imparare a fidarmi di chi mi porgeva la mano per aiutarmi a camminare, come una cieca tende doverosamente a prendere in prestito gli occhi di coloro che la circondano.
Mentre una stagione lasciava il posto all´altra, in un´altalena di esplosioni di colori e di candore innevato, la mia esistenza veniva scandita dagli insegnamenti della mia amata Madre.
L´attenzione alla Natura, che è innato in ogni elfo, è una concezione di Esistenza Pura, per il Nandor.
Con dolcezza, mi venne insegnato ad accettare ciò che il mondo regalava noi, nell´insensato ed insieme ponderato susseguirsi della morte e della vita.
La tranquillità che permeava ogni mio anno di vita veniva di quando in quando scossa dalle notti di Buio totale, Notti che avevo imparato ad accettare come costante di ogni mese che vivevo
Eppure, arrivata ad un´età di circa 50 anni elfici, ebbi la prima svolta nella mia Pace.
Rammento con chiarezza che poco distante dal Bosco di Elvellyn nasceva una comunità umana. Abbastanza primitiva, invero, ma essi mai avevano osato varcare i confini naturali, neanche per cacciare
Pareva vigere un tacito accordo fra i loro Capi ed i nostri Esarchi.
Non vi era pena alcuna, era solo la chiara ricerca del privato da parte dell´una e dell´altra comunità.
Una sorta di Protezione delle proprie tradizioni.
Eppure, - come facessero gli umani ad arrivare a tanto, mai potrò comprenderlo - , in un periodo di Fame e Carestia, un piccolo gruppo di essi avanzò nel nostro Bosco, spinti dall´inedia a cui le loro Battaglie Fratricide avevano portato la loro misera collettività.
Volentieri lasciammo che essi portassero via qualche capo di bestiame fra quelli che furono in grado di cacciare. Rimanemmo in silenzio, ad osservarli, studiarli, nelle loro primordiali pratiche venatorie, quasi sorridendo, indulgenti, come farebbe un fratello maggiore al piccolo Elda che impara a camminare e parlare e cantare.
Quella nostra magnanimità fu molto probabilmente confusa per sottomissione, poiché, preso coraggio insensato, tesero a tornare molto spesso ad uccidere selvaggina in modo a noi insulso. Quasi provassero piacere nell´atto stesso.
In una notte di Luna Nuova fu mia Madre, Nimealc, a seguito della richiesta degli Esarchi, in qualità di Dol-Amil Nandorin di Elvellyn, ad incontrare il Capo Umano.
La sua voce si espandeva lieve nel semicerchio degli Esarchi, mentre io, nascosta fra i rami di uno degli alberi che troneggiavano nella Radura, osservavo, orgogliosa, quella schiena diritta, elegante, regale posta innanzi ai sette Anziani Umani.
Inevitabilmente, quelle notti tendevo a sentirmi oppressa, tesa ed atterrita, ma il baluginare continuo dei lampioncini elfici appesi ai bassi rami, parevano in parte quietare il mio Animo.
Ciò che Nimealc chiedeva ai caduchi uomini era che soppesassero in modo sensato e ponderato un tale inutile spreco di vite animali.
La risposta dei selvaggi fu una freccia nel petto di mia Madre.

In quel momento mi parve di morire con Essa.

Quel che dopo avvenne non verrà mai da me menzionato. Basti sapere che del villaggio sopravvissero solo donne e bambini.
Da entrambe le parti, con il senno di poi, fu per me solo un´ingiustizia.
Il diritto di rivalsa sull´umano assassino, a mio avviso, sarebbe spettato a mio Padre.
Ma compresi la scelta presa dal popolo Nandorin.
Mio padre, a cui venni in un secondo tempo affidata, era perennemente in viaggio. Io stessa non lo avevo mai incontrato, seppur nel momento della mia nascita egli fu presente per impormi il suo Patronimico.
In quel momento, dunque, quando vidi il corpo esile di mia madre scivolare con leggerezza in terra, in un frullare di capelli bruniti ed un frusciare di candidi abiti, nel cui mezzo s´espandeva un giglio carminio, compresi che la Luna Nuova avrebbe segnato la mia Vita in modo più profondo ed indelebile di quanto mai avrei potuto immaginare.
Giunse, allora, da un villaggio Sindarin molto lontano dal nostro, Anor-Lhelim, mio padre.
Venne per portarmi via da tutte le mie certezze per insegnarmi ad amare il viaggio e l´imponderabile, in un continuo girovagare senza mèta precisa.
Avendo egli impresso il suo Patronimico su di me, tendeva a chiamarmi con esso, quando, invero, ero più avvezza ad udire il Matronimico impostomi da mia Madre: Arlinwën, Fanciulla dal Nobile Canto.
Invero, udire continuamente CúranCeleb - Falce di Luna Argentata - mi risultava odioso.
Con Anor-Lhelim esisteva un sentimento contrapposto di Amore ed Odio che non potrei mai ben delineare.
Apprezzavo il suo modo di vivere allegro e sognatore. La sua capacità continua di raccontare storie avvincenti ed emozionanti. Il suo fascino eterno che mal si legava alla sua indole di polemico.
Era appunto questo suo carattere controverso e brillante a lasciarmi spiazzata, abituata com´ero alla quieta accettazione di ciò che avveniva.
E fu lui a completare la mia educazione.
Imparai da lui ad essere Fieramente Elfo, comprendendo le diversità esistenti fra le varie razze, entrando direttamente in contatto con esse, al fine di avere uno scambio di vedute, interagendo con esse, studiando le loro culture e tradizioni e vederli completamente differenti dai nostri.
Eppure, anche se accoglievo ciò che ci differenziava, mi accorsi che l´Orgoglio d´essere ciò che sono, mi portava ad avere, in un qual certo modo, un´ottica Classista, nella concezione quasi esasperata della Perfezione Elfica.
Concezione che imparai a mediare solo in un secondo tempo, dopo la maturazione, avvalendomi del mio intelletto necessariamente diverso da quello di mio padre, in quanto ciò che m´insegnò ad essere mia madre aveva radici più profonde.
Nel nostro lungo peregrinare, giungemmo nel villaggio di Anor-Lhelim, ove rimanemmo molto più tempo di quanto non avessimo mai fatto in quasi 25 anni.
Colà egli trovò una seconda moglie, che divenne per me madre a metà, poiché la mia natura intimamente più selvatica e libera tendeva a contrastare con quella più rigida e quasi formale dei Sindar.

L´elfa sindarin, MothLaer (Il Canto del Crepuscolo), ebbe da mio padre due figli: Farothogil ed Annael.

Fratelli che amai subito, appena vennero alla luce.

Con essi mi sentivo realmente accettata in una famiglia, degna di insegnare le mie conoscenze sulla natura a questi piccoli elfi che seguivano i miei passi di adolescente nel cammino della Vita Silvana, lontana dalle razionali e nobili costruzioni sindarin che essi si ostinavano a chiamare Case.
Un secondo e poi un terzo tragico incidente mi negarono completamente la Pace che pensavo di aver così faticosamente raggiunto.
Non penso sia un caso che entrambi i fatti fossero accaduti durante la Luna Nuova.
Ormai non credo esista più Il Caso.
Verso la prima maturità elfica, poco tempo dopo che venni riconosciuta da un lupo come sua amica ed Alter Ego, ebbi la sventura di vederlo uccidere da un paio di orchi che credevano di poter invadere bellamente il territorio Sindarin.
Fu in quel momento che percepii il desiderio di rispondere alla Violenza con della Violenza. Ma fu anche in quel frangente che compresi quanto infima sarei apparsa, ai miei stessi occhi, se avessi ridotto alla stessa stregua i due mostri.
Rimasi al villaggio, con il tempo che passava lieve come il dolce lambire delle onde sulla battigia chiara, raffinando il mio canto e la mia capacità di suonare il liuto. In tutto questo mio padre fu una presenza costante, quasi rassicurante, conscio ormai del fatto che le notti di Novilunio parevano, colpa del Destino, pesare sul mio Spirito come un macigno gettato nel lago.
A farmi compagnia, crescendo quasi di pari passo con me, seppure di circa 27 anni più grande, vi era il figlio dell´Esarca Sindarin più antico e rispettato, il Nobile Lachaglaren che aveva per me un prepotente attaccamento. Un attaccamento tale da portarlo a chiedere la mia mano ad Anor-Lhelim.
Superai i 100 anni ed ancora 20, prima di venire a conoscenza di un tale avvenimento. Non lo amavo, invero, non come avrebbe desiderato ardentemente lui, ma avevo per quel giovane elfo una dolcezza particolare che quasi rendeva geloso Farothogil.
…Ed anche il mio fidanzato venne meno in una notte di Novilunio, a seguito di un´imboscata drowish.

Lo vidi, il corpo esanime ed eternamente bello, brillante, trasportato in braccio dai suoi fratelli.

Vidi il suo volto e la sua sofferenza.

Scelsi, allora, di prendere in mano le armi e difendere chi più amavo.

Furono anni intensi, ove mi venne insegnato a maneggiare con destrezza l´arco e ad essere precisa, silenziosa, rapida. Tuttavia l´abilità di brandire la spada non venne mai recepita dalla mia indole.

A seguito di tali accadimenti, compresi che il Villaggio Sindarin ove vivevo non poteva più ospitarmi. Percepivo un senso di inadeguatezza tali da spingermi a compiere il mio Viaggio personale.

Intrapresi così quella strada che mi avrebbe portata lontano dai miei cari, in cerca di un posto che avrei potuto chiamare Mio.

Molte persone incontrai, avventure vissi, ebbi modo d´incontrarmi con gente e razze impossibilitate a pronunziare il mio nome elfico, sicché, un dì, trovatami in un piccolo paese, nell´isola di Erin, domandai ad una pastorella quale fosse il nome di quella bianca anitra selvatica che spesso mi capitava di vedere presso il Lago Povero, ora credo chiamato il lago di Killarney.

La fanciulla, ridendo sommessamente mi disse che loro le chiamavano FionnLaidch, nella contrazione di Fionlaich, e che erano le figlie del Signore O´Donoghue, Proprietario di quei luoghi.

Le fanciulle si trasformavano in bianche anitre selvatiche e viaggiavano per lungo e per largo durante l´arco della giornata, ma tornavano Splendenti fanciulle allo scoccare delle 18 di sera.

Fu per questo che mi feci chiamare Fionlaich, in onore di quelle magnifiche Figlie del Signore O´Donoghue, presso cui venni ospitata per tutto il tempo della mia permanenza.

Alla corte del Signore di Erin, feci la conoscenza di un giovane umano dall´indole intransigente e spavalda, un certo Lahinch che, al sentir pronunciare il mio desiderio di tornare a viaggiare, s´offerse di scortarmi fino ad un Granducato ove avrebbe dovuto passare qualche anno per intraprendere la carriera militare.

Iniziammo così il tragitto, arrivandoci a conoscere abbastanza bene.

Ormai avevo raggiunto i miei venerandi 230 anni, anni passati a studiare e conoscere luoghi, etnie, costumi e lingue. Anni che lasciavano fra l´umano e me un divario di conoscenza e maturazione ampio quanto il Mare Stesso.

Non comprendo, tuttora, come egli pensasse realmente di poter avere con me un legame più profondo di una mera conoscenza. Ma il fatto rimane e quando giungemmo infine al Granducato, egli pensava realmente che fra noi si fosse instaurato un legame che ci avrebbe portati all´altare.
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